ANDREAS MÜLLER-POHLE, DIGITAL SCORES I (AFTER Nicéphore NIÉPCE), 1995Esattamente 40 anni fa, nel 1975, Steve Sasson di Kodak presentò al mondo la prima macchina fotografica digitale: questo prototipo, fatto di componenti provenienti da altri apparecchi elettronici, era in grado di archiviare l’immagine – impiegando più di 20 secondi – su di un nastro magnetico.
Dovremmo aspettare qualche anno, fino ad arrivare al 1981, per la “Mavica”, ibrido prototipo della Sony, sorta di videocamera capace di registrare singoli fotogrammi, il 1986 per la prima simil-reflex digitale, la Canon RC 701 (anche se solo nel 1991, con la Kodak DCS-100, avremo la prima vera e propria reflex “elettronica”), il 1988 per la prima macchina con scheda di memoria flash (Fuji DS-1P) ed addirittura il 2000 per la prima reflex full-frame (con sensore, cioè, di formato 24×36 mm circa), la Contax N Digital.
Era l’inizio di una nuova era, quella della fotografia digitale, ad oggi tecnologia di registrazione della immagini imperante: infatti, se fino agli 2000 la qualità di tali strumenti era ancora nettamente inferiore rispetto alla fotografia analogica, da quegli anni in poi, invece, il mercato vide l’affacciarsi di strumenti (come ad esempio la Canon EOS 1D e la Nikon D1) professionali e qualitativamente accettabili.
Sostituendo il supporto fotosensibile con un sensore in grado di catturare gli impulsi luminosi e poi convertirli in segnali elettronici basati su codice binario pronti per essere archiviati su supporti di memoria, la fotocamera digitale ha essenzialmente sancito la fine dell’era della pellicola e l’entrata in nuovo mondo nel quale il rapporto tra scena catturata ed immagine conseguente fosse assolutamente immediato, ben lontano dai lunghi tempi della chimica dello sviluppo.
Dallo scatto alla foto in vero e proprio clic: un flusso continuo di dati (Jean Baudrillard, 2006) basato sull’immaterialità (almeno fino alla fase di stampa).
La rivoluzione introdotta dalla fotografia digitale non ha infatti riguardato lo specifico fotografico, né tantomeno l’architettura essenziale delle macchine (obiettivo, diaframma, mirino, esposimetro, pulsante di scatto ecc.ecc. rimangono sempre gli stessi), ma piuttosto la capacità di registrare le immagini catturate, garantendo velocità ed immediatezza, gli stessi elementi che poi andranno a costituire l’universo dei nuovi media e della rete web, nella quale, non a caso, la fotografia è protagonista.
Dalla scena inquadrata al file, pronto per essere condiviso e diffuso, in un intreccio indissolubile tra produzione, percezione e fruizione (Roberta Valtorta, 2008).
Non è allora fuori luogo affermare, citando Andreas Müller-Pohle, che la rivoluzione del digitale non ha riguardato e non riguarda certo solo la fotografia, ma “l’intero mondo in cui viviamo”. Inoltre, la quantizzazione dei dati nel processo fotografico non ha fatto altro che esaltare una dimensione già presente nel medium e cioè la sua incontrollabile riproducibilità unita ad una capacità di rappresentare (e non presentare) la realtà, poiché ancora più facili da realizzarsi saranno ora gli interventi di manipolazione – esaltando la natura “costruttiva della fotografia”(Joan Fontcuberta, 2012) – grazie ai software di post-produzione dei file raster.
Infatti, la vera sfida che ha visto impegnati coloro che hanno vissuto il passaggio dalla fotografia “argentica” a quella “numerica” non è stato affatto quello di imparare ad usare un nuovo tipo di macchina, quanto piuttosto quello di imparare ad utilizzare computer e software di manipolazione dell’immagine; insomma, ciò che è cambiato non è stata affatto la tecnica, bensì la gestione dell’immagine nel post-scatto per via dell’introduzione dello strumento principe dell’era post-moderna: il computer, imperatore dei nuovi media, vero e proprio hub culturale.
I nativi digitali odierni, figli della “computerizzazione della cultura” (Lev Manovich, 2001) già sanno che sarà necessario per loro prendere confidenza con tali strumenti (computer/software ecc.ecc.), ma dovrebbero però anche sapere che, proprio poiché lo specifico fotografico non è cambiato, allora, è necessario studiare sempre e comunque la tecnica base della fotografia (anche con una vecchia Nikon F2 oppure con un banco ottico dotato di lastre), unita ad un serio approfondimento di natura storica: solo così possiamo diventare dei buoni fotografi, digitali o analogici, poco importa!
Firenze 04-06-2015 / Gaia Vettori