Nella pittura metafisica c’è una evidente carica di suggestione, ricca di atmosfere magiche ed enigmatiche, dove si percepisce il silenzio più assoluto. Il primo Novecento, soprattutto dall’inizio fino agli anni ’20, è stata l’età delle avanguardie artistiche. Nuove scuole di pensiero si sviluppavano grazie agli input di manifesti rivoluzionari, che proponevano un diverso approccio stilistico, metodologico e ideale all’arte, rigettando spesso completamente il passato.
Le avanguardie avevano varie origini e portarono ad esiti spesso diversissimi, anche se non è difficile individuare dei motivi ricorrenti in ognuna di esse. Tra queste, un ruolo rilevante va riconosciuto anche a quella italiana, che seppe contribuire in maniera decisiva allo sviluppo delle arti in quel periodo.
La pittura metafisica che doveva far leva sull’effetto sorpresa e sulle suggestioni di immagini irreali e fantastiche.
Di fondamentale principio è stata l’ambientazione che, con scene molto nitide e architetture riconoscibili, con toni freddi e chiaroscuri dai contrasti fortissimi, facevano percepire la solitudine di piazze, torri, statue, edifici senza età, nature morte e piccole figure di uomini indistinti che sembravano trovarsi dentro il quadro come per un incantesimo.
Piazza d’Italia – Giorgio De Chirico
In questo quadro c’è un equilibrio decisamente rinascimentale, riconoscibile nelle proporzioni degli edifici e nell’eleganza delle architetture, come anche nella statua classica al centro della scena. C’è, però, anche la tipica distorsione dovuta dalla presenza di vari punti di fuga non coincidenti. Un clima di morte, contrassegnato anche dal colore innaturale del cielo.
La musa metafisica – Carlo Carrà
La musa metafisica, in cui compare un manichino simile a quelli utilizzati da De Chirico, assieme però ad elementi diversi. La cartina geografica che mostra l’Istria di fianco al tricolore è un particolare interessante. Carrà – amico tra l’altro anche di Cesare Battisti – era infatti un irredentista ed era convinto della necessità di far tornare italiane Trento, Trieste, l’Istria e la Dalmazia. Un obiettivo che la guerra permise di raggiungere solo in parte.
Giorgio Morandi – Grande natura morta
L’opera mette in scena i vari elementi classici della corrente: le campiture uniformi di colore, il manichino, le figure geometriche semplici, l’atmosfera trasognata ed inquietante. C’è, però, anche qualcosa in più. Morandi non rappresenta una piazza o l’interno di una stanza, con oggetti più o meno classici, ma una bottiglia, una cilindrica, un parallelepipedo. Proprio la bottiglia, bianca e completamente anonima, sembra anticipare i quadri in cui Morandi rappresenterà, bottiglie con tinte molto simili ma in un’ottica diversa, realistica e più personale.
Periferie – Piero Sironi
Periferie è il suo quadro più famoso ed emblematico del periodo, in cui si percepisce certo l’influenza dei predecessori ma si avverte anche un sentimento nuovo, un’inquietudine che non è più enigmatica, ma che ha radici ben chiare. Non a caso il paesaggio non è più quello di una piazza rinascimentale, ma la moderna periferia urbana, sempre priva di esseri umani ma molto più concreta e attuale. D’altronde, il 1922, cioè l’anno in cui l’opera fu composta, è quello della presa del potere del fascismo, partito a cui Sironi aveva aderito già dal 1919.
Le cipolle di Socrate – Filippo De Pisis
In “Le cipolle di Socrate” si nota bene l’inquietudine che cede qui il passo ad un’assurdità poetica. Il tratto è volutamente vago, distantissimo dalla precisione di De Chirico. La classicità è richiamata dalla statua e dalla figura di Socrate, ma è una classicità che ha perso il suo equilibrio formale, e serve piuttosto ad evocare un’atmosfera, confermata dalla spiaggia d’intorno. È, insomma, quasi più poesia che metafisica, avviandosi verso una strada che De Pisis avrebbe fatto propria negli anni successivi.