Blog

I ritratti di Richard Avedon: quadri viventi della società contemporanea

1_AVEDON

di Gaia Vettori (docente di Fotografia LABA Firenze)

 

Richard “Dick” Avedon, nato a New York City nel 1923 e morto a San Antonio (Texas) nel 2004, è  considerato uno dei più importanti fotografi del XX secolo.
Conosciuto essenzialmente per il suo enorme contributo nell’ambito della fotografia di moda – egli ha infatti rivoluzionato l’immaginario della fashion photography, introducendo quella che egli stesso definiva “emotional complexity” – Avedon non è infatti solo colui che ha collaborato con le più importanti riviste del settore, come Harper’s Bazaar e Vogue, ma è anche stato un vero e proprio maestro del ritratto fotografico.
La stessa “complessità emozionale” unita alla perenne fascinazione per la caducità della vita (elemento, questo, che caratterizza tutta la produzione fotografica del maestro americano), vengono infatti sublimate nei suoi intensissimi ritratti sia di celebrità che di gente comune.

Allora, è proprio grazie ad essi che si rivela tutta la potenza iconica ed espressiva di Avedon, il quale, spesso con semplici sfondi bianchi, era capace di infondere nelle sue immagini un potere comunicativo e drammatico, fortemente concreto e realistico, non esente da suggestioni tormentate e tutt’altro che gioiose.

 

Convinto che la natura della fotografia fosse da ravvedersi nella performance e che quindi “All photographs are accurate. None of them is truth”, egli era capace di sfruttare questa sua disillusione (per altro perfettamente calzante nell’ambito della fotografia di moda), per realizzare ritratti che fossero una perfetta testimonianza simbolica dell’essenza performata del soggetto ritratto.
Teatralità, quindi, come parola chiave del suo lavoro: una teatralità, però, non da intendersi come banale superficialità o inattendibilità, ma come genuino atteggiamento dell’essere umano nella società contemporanea, come meccanismo difensivo espressione della più profonda psicologia dell’individuo.
“La domanda giusta non è se i ritratti dicono la verità sui particolari modelli, ma se dicono la verità riguardo all’esperienza della seconda metà del ventesimo secolo”, sosteneva infatti il fotografo americano.
Osservare un ritratto di Avedon significa allora osservare l’Uomo Contemporaneo, le sue debolezze, le sue gioie, i suoi tormenti, le sue paure.
Esattamente come Gaspar Félix Tournachon (in arte Nadar) si rivelò capace di comprendere come la fotografia fosse anche capace di ritrarre “la somiglianza intima del soggetto…colto nell’immobilità”, quasi cento anni dopo, Avedon ci ripropone con i suoi ritratti questo approccio fotografico arricchito però di tutta quella complessità concettuale acquisita dalla fotografia in un secolo di vita (senza ovviamente dimenticare i cambiamenti sociale nel mentre avvenuti).
Dal moderno al post-moderno, dall’illusione di poter ritrarre l’essenza profonda dell’individuo, alla disillusione che questo possa realmente accadere perché “Nessuna fotografia è la verità”.

 

Proprio l’acquisizione di tale consapevolezza, porta allora la fotografia ad emanciparsi ulteriormente, diventando un vero e proprio termometro che misura il grado di tormento, ansia ed inquietudine dalla società odierna, da Avedon considerata come un “teatro di posa”, la cui essenza mendace, disillusa e poco genuina era perfettamente registrabile dal medium fotografico e, in particolare, dal ritratto.

 

Lasciamoci quindi suggestionare e catturare dalle potenti immagini del fotografo americano, profondo conoscitore dei tormenti dell’Uomo, perfettamente capace di riuscire a registrare su pellicola fotogrammi di quella pièce teatrale chiamata Società Contemporanea, con tutte le sue contraddizioni, con tutti i suoi difetti, bugie e falsità.
Fotografia come quadro vivente – di barthesiana memoria – che raffigura la faccia “immobile e truccata” di un individuo inteso come attore e parte di questa affascinante messinscena il principale fotografo della quale è stato senza dubbio proprio Richard Avedon.

Firenze 2 Febbario 2015

Incontro con Salvatore Ferragamo
Il programma Erasmus+ nel 2015