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Una storia di successo alla Laba: Stefano Vigni

Una storia di successo: Stefano Vigni, affermato fotografo ed ex-allievo LABA, si racconta in questa lunga intervista.

Il Blog della Libera Accademia di Belle Arti di Firenze è lieto di ospitare nel suo salotto virtuale un ex-allievo del corso di Fotografia triennale: Stefano Vigni, dinamico e capace fotografo senese che, in pochi anni, è riuscito a fare della propria passione per la fotografia un mestiere foriero di numerose soddisfazioni e traguardi artistici. Collaborazioni con importanti aziende, ricerca personale orientata verso il territorio italiano, fondazione di una casa editrice, sono solo alcuni dei tratti salienti del suo ricchissimo curriculum. Scopriamo il resto!

Caro Stefano, è un piacere ritrovarti qua. Non a caso utilizzo il termine ritrovarti: anche tu, infatti, sei stato uno studente della Libera Accademia di Belle Arti di Firenze. Che ricordo hai di quegli anni? Cosa pensi che questo istituto ti abbia insegnato per la tua successiva e fulgida carriera professionale?

Il ricordo è bellissimo, gli anni dell’accademia sono stati per me un vero banco di prova… sempre interessanti e pieni di stimoli. L’atmosfera creativa che si respira in una scuola come la LABA è una fonte di ispirazione continua, per non parlare delle contaminazioni fra le varie discipline, gli stimoli che provengono dai docenti e dal lavoro degli altri studenti… ti ricorderai bene cara Gaia, che in quegli anni c’erano ragazzi con idee e progetti interessanti e questo ha rappresentato per me un continuo sprone a migliorarmi; la competitività e la critica costruttiva sono parte fondamentale in un lavoro di ricerca personale ed è qui che per la prima volta ho imparato a confrontarmi con i progetti degli altri. Questa scuola mi ha insegnato ad essere aperto a più possibilità e a non precludermi mai nessuna strada. La cosa più bella è stata poter esprimere liberamente la mia creatività a 360° e provare a misurarmi con le tecniche e le soluzioni fotografiche più svariate: così avendo fatto il giro completo delle esperienze alla fine ho potuto scegliere serenamente quella che era la strada più giusta per me, quella che più mi interessava.

Hai solo 34 anni, ma il tuo curriculum è degno dei più affermati professionisti del settore. Non solo hai lavorato per grandi nomi dell’industria internazionale, ma sei riuscito a portare avanti una carriera come autore contemporaneo, esponendo regolarmente, dal 2006, presso gallerie d’arte e spazi culturali. Inoltre, svolgi la professione di insegnante. Come riesci a coniugare tutte le sfaccettature di quel diamante chiamato Fotografia? Sono per te parte di un unico universo che lavora in sinergia nelle sue parti?

Ancora 34 devo compierli (manca poco comunque, giugno si avvicina)…  ti ringrazio per i tuoi gentili complimenti, ma ad essere sincero sono convinto che in questa professione non ci si debba mai sentire arrivati e che anzi ci si debba porre di fronte sempre a nuovi obiettivi per cercare di migliorare ed arricchire il proprio bagaglio di esperienze. Sono felice e devo ammettere che sono stato fortunato ad aver avuto queste opportunità e d’altro canto posso dire di non essermi mai tirato indietro, ma anzi di essermi proposto continuamente per cercare di valorizzare il mio portfolio e far crescere il mio curriculum: così credo di essere cresciuto anche io, umanamente e professionalmente insieme alla fotografia e di conseguenza spero siano “cresciute” anche le mie fotografie. Cercare di far coesistere tutte queste diverse sfaccettature è impegnativo ma il nostro mestiere lo richiede. Credo che la fotografia sia un lavoro difficile e lo si può fare solo se si possiede una passione smisurata: un mestiere che ci si deve reinventare giorno per giorno, stando attenti alle trasformazioni che subisce ma senza cambiare troppo se stessi, per non rischiare di snaturare il proprio concetto di immagine: ed è proprio questa la parte più complicata. Il mondo della fotografia è soggetto a repentini cambiamenti. E’ lo specchio della nostra società, per questo a volte è  facile cadere e lasciarsi affascinare da “mode” e da stili fotografici che vanno per la maggiore; in questo la sfida è ancora più grande, bisogna cercare di rimanere se stessi e provare ad essere originali (o per lo meno pretendere di esserlo).

La tua poliedrica ecletticità ti ha inoltre portato a dedicarti al self-publishing – tendenza per altro in continua ascesa – tanto che hai fondato una casa editrice indipendente, la Seipersei. Come mai questa scelta di tornare a promuovere il libro fotografico stampato? Pensi che questo sia il futuro della fotografia documentaria e di reportage?

Ho sempre pensato che fare un libro rientrasse nel percorso naturale di ogni fotografo: un po’ come fare una mostra o pubblicare le proprie immagini su un magazine. Un’esperienza dalla quale non si può prescindere. Non un punto di arrivo, né di partenza, ma parte fondamentale di un percorso lavorativo molto complesso. Ed è quello che ho sempre voluto fare con le mie fotografie: raccoglierle in piccoli volumi da tenere gelosamente custoditi nel proprio archivio. Per questo ho fondato Seipersei, proprio per raccogliere i miei libri in un contenitore con una veste editoriale personale, che rappresenti il mio modo di vedere la fotografia oggi.  Il libro fotografico è un’opera diversa dal portfolio sia concettualmente che dal punto di vista dell’approccio visivo dell’osservatore: ha una sua anima e vive di alchimie che si costruiscono con l’esperienza. Inoltre credo che la fotografia stia attraversando un momento di cambiamento e che grazie all’uso delle tecnologie moderne i fotografi siano tornati su questa strada per riappropriarsi di ciò che fino a qualche anno fa sembrava impossibile ai più: vedere le proprie immagini raccolte in un libro di fotografie d’autore. E vedere questo libro sugli scaffali di una libreria o di una biblioteca, accanto a quelli dei grandi fotografi a cui ti sei sempre ispirato è una conquista: intellettuale e materiale – personale ma anche tangibile allo stesso tempo. Dunque si, rispondendo alla tua domanda, è il futuro prossimo ma anche il nostro presente perché porta alla luce lavori di fotografi bravissimi che fino a qualche anno fa sarebbero rimasti chiusi in archivio per colpa di un mercato saturo in cui è difficile collocarsi come autore. Ed è il futuro di tutta la fotografia, non solo di quella di reportage o documentaria: il libro fotografico è una vera e propria forma di espressione artistica ed è proprio per questo che ogni giorno vediamo uscire libri bellissimi, che siano di ricerca personale o altro.

Recente  (febbraio 2015) è la tua mostra “20000km” presso lo Spazio Mostre nel centro storico della città di Prato. Altrettanto recente è la riedizione di “Magic Campo”, proposto in vendita assieme ad una stampa numerata e firmata. Non possiamo poi non ricordare “Derive” secondo volume di una trilogia di cui “20000km” è la prima uscita. Le tre opere citate presentano tutte un denominatore comune: l’approccio analitico nei confronti del territorio italiano (o di parti di esso).  Intendi continuare a lavorare in questa direzione? Qualche anticipazione sui progetti ai quali stai lavorando?

L’interesse che ho nei confronti del nostro Paese è sicuramente il motore propulsore della mia ricerca personale: l’Italia è affascinante ma è anche un luogo dove coesistono la bellezza e le grandi contraddizioni che hanno segnato la nostra storia recente. E questa per me è una ricchezza e fonte di ispirazione continua. I contrasti e le ferite che mostra sul suo bel volto mi intrigano e mi fanno riflettere sulle molteplici possibilità di ricerca fotografica che vorrei poter esplorare con lo sguardo. Ora sto lavorando al terzo volume della trilogia e posso già anticiparti di cosa parlerà: il tema che sto affrontando è il calcio… non sono mai stato un grande appassionato di questo sport, ma è una chiave di lettura che ho scelto per raccontare gli italiani, sempre divisi sulle scelte più importanti da prendere, ma mai in dubbio quando si ha la possibilità di accalorarsi per una partita di pallone e di tifare per la propria squadra.

Ringraziandoti per la tua disponibilità, ho un’ultima domanda da porti: che cosa ti senti di consigliare ai nostri giovani fotografi emergenti?

Non mi stancherò mai di ripeterlo e mi raccomando sempre durante le lezioni e i workshop: dal punto di vista lavorativo non precludetevi mai neanche una possibilità, perché tutto quello di cui avete bisogno è l’esperienza. Se invece parliamo di ricerca personale, siate voi stessi e lavorate solo su quello che vi interessa veramente, ciò che vi appartiene e sentite giusto dentro di voi: non lasciatevi prendere dalle “mode”, altrimenti rischierete di creare immagini che diventano solo delle ripetizioni sbiadite della realtà, delle collezioni antologiche di quello che ci circonda: antologia in greco significa “raccolta di fiori”… e allora, se proprio dovete andare a raccogliere dei fiori sforzatevi di cercare solo i più rari.

Incontro con Peter Hefti, Manager di MOLTENI S.p.A.
Contaminazioni Arte Contemporanea & Industria