Negli ultimi 20 anni il quadro reale della nostra quotidianità è completamente cambiato. Viviamo il momento della disillusione: con il tramonto delle grandi narrazioni formulate dalle “élite” globali. Una profonda trasformazione verificatasi nel sistema economico, sia per le profonde trasformazioni che stanno avvenendo nei processi formativi delle nuove generazioni. La “grande impresa” si è praticamente estinta e sono nate tante piccole e medie imprese che hanno sempre maggiori difficoltà nel mantenere in vita e aggiornare le loro strutture di ricerca. Le università e le scuole accademiche di progetto, stanno imboccando la strada di porsi sul mercato come propositori di servizi di ricerca. In un mercato, che inizia a chiedere differenti livelli di preparazione. Chiedono una migliore formazione e una maggiore selezione per i futuri professionisti, desiderano una cultura più mirata e più rapidamente spendibile sul lavoro per coloro che sono destinati a mansioni più esecutive. In definitiva le imprese vedono gli studi universitari sia come ultimo stadio di un processo formativo di avvio generalizzato al lavoro, sia come necessaria fase di selezione per la futura classe dirigente del paese.
Comincia così ad apparire evidente la necessità di un profondo mutamento nei rapporti fra mondo della didattica e imprese e una sempre più stretta collaborazione per definire obiettivi comuni nella ricerca e nella didattica e processi di gestione sempre più stretti ed efficienti. La didattica deve riprendere visioni di nuove rotte possibili. Nel sistema delle imprese vi sono certamente difficoltà perché non sempre sanno cosa chiedere al mondo accademico e difettano di figure capaci di gestirne i rapporti. Spesso si aspettano un trasferimento di conoscenze senza aver la capacità di rendere espliciti i loro bisogni di Ricerca e Sviluppo. Il design del moderno ha ben rappresentato lo scenario della società del benessere, ignorando il concetto di limite, pensava sempre in termini di risorse illimitate ed inesauribili, a cavallo della grande serie vedeva realizzarsi il grande sogno di una diffusione di massa dell’estetico attraverso le merci. Nel suo libro, Design politico. Il progetto critico, ecologico e rigenerativo. Per una scuola del design del XXI secolo, Paolo Deganello, rende esplicito la visione del design che è stato insegnato e di quale design si dovrebbe insegnare. La sua riflessione in questo momento è di promuovere una produzione e un consumo di merci capaci di ridurre l’accumulo di rifiuti e i rischi di distruzione della vita sul pianeta. Deganello propone una scuola diversa, che prepari le nuove generazioni a rivendicare una diversa committenza di progetto che permetta al design del XXI secolo di contribuire a una radicale “conversione ecologica” delle merci. Il design come opportunità, nel rispetto dei vincoli, per la soluzione di un problema, in vista di un fine. La necessità di rivedere le modalità di relazione sia del singolo che della collettività, imporrà l’introduzione di nuovi paradigmi di sistema. Per adeguarsi ai cambiamenti e per rimanere sempre al passo con i tempi, la maggior parte dei corsi di studio di design, ha modificato il proprio percorso formativo, adattandolo alle nuove esigenze. Soprattutto adesso, in un momento così delicato per il nostro pianeta, in cui l’attenzione ricade principalmente sulla salute e il benessere. Il tratto distintivo del nuovo design sarà quello della trasversalità: intersezioni estranei all’idea magnifica e progressiva del progetto modernista. «Quindi non ci resta che il compito di creare una narrazione aggiornata per il mondo. Proprio come i sovvertimenti provocati dalla Rivoluzione industriale hanno dato vita alle inedite ideologie del XX secolo, così è probabile che le rivoluzioni nelle biotecnologie e nelle tecnologie informatiche che stanno arrivando richiedano visioni innovative.»? È la domanda cruciale a cui tenta di rispondere Yuval Noah Harari nel suo ultimo libro 21 lezioni per il XXI secolo. Allora ripartiamo da qui: 2030 LIFE AFTER PLASTIC (tesi in Design di Yael Simantov, Laba Dipartimento Design relatore prof. Angelo Minisci) è una riflessione che mira a comprendere il problema dell’inquinamento da plastica nel mondo che colpisce gli animali, la fauna, e naturalmente noi – gli esseri umani. Le riflessioni hanno generato una collezione di utensili monouso – la Xenia Collection. Il nome della collezione deriva dal concetto dell’ospitalità e dei rapporti tra ospite e ospitante nel mondo greco antico. Era un dovere per i greci ospitare coloro che chiedevano ospitalità. Anche noi siamo ospiti temporanei su questo pianeta e da questa riflessione nasce la mia collezione di utensili monouso che ha lo scopo di servirci ed essere utile per poco tempo e poi andar via senza lasciare niente dietro. Il problema dell’inquinamento da plastica nel mondo non si risolverà presto. È necessaria una continua ricerca, e certamente una maggiore consapevolezza riguardo al suo utilizzo. Infatti, è questa infinita curiosità e apertura alle idee di altri campi che ha reso il design la chiave di alcune delle più grandi innovazioni della storia recente – dall’iPhone al Tesla. Come designer, alla continua ricerca, dovremmo creare una nuova realtà nella quale ci chiederemo non solo: “Come potremmo?” ma anche: “A quale costo?” «Il design non è una materia di supporto, ma una disciplina che può guidare l’innovazione», dichiara Dario Scodeller coordinatore del corso di laurea triennale in Design dell’Università di Ferrara, «come diceva Achille Castiglioni: il design si fa in gruppo e il designer deve imparare a dare direzioni precise, preparate e consapevoli a questo gruppo su qual è il costo ambientale e sociale di un prodotto o cosa succede alla fine della sua vita. “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati.” Disse Albert Einstein. Lo pensiamo un po’ tutti in questo delicato momento.